Nessun sogno è mai soltanto un sogno
Se mi si chiedesse quali certezze nutro riguardo al cinema, candidamente risponderei: Chaplin, Kubrick e Fellini. Non si tratta di amare o meno i loro film, non è dunque questione di gusti, quanto il saper riconoscere la qualità oggettiva di un capolavoro, generato da un mix di forma e contenuti.
E in questo ruolo di dicotomico dosaggio di etica ed estetica, Kubrick fu Maestro supremo!
Forte del suo passato di fotografo, nonché appassionato di filosofia, non aveva interesse a narrare attraverso la parola, quanto a cercare di rappresentare su pellicola l’intrinseca natura dell’uomo nel mondo, comprese le sue inclinazioni più segrete ed inquietanti, mediante delle scene meticolosamente studiate anche nel più infimo dettaglio.
Ma nello specifico, qual è stato il suo contributo e in che modo ha influenzato generazioni di registi e sceneggiatori?
Riporto di seguito le 10 ragioni per cui Kubrick ha concretamente fatto la storia del cinema!
1. Per le storie che ha portato sul “Grande Schermo”
Prima di un film e della sua resa tecnica c’è un’idea, ovvero una storia.
Per le sue storie, Kubrick traeva quasi sempre ispirazione dai libri. Diceva:
Perché inventare una storia originale
quando qualcuno l’ha fatto così bene per me?Link sponsorizzati
E così: dietro Rapina a mano armata si cela il romanzo di Lionel White; dietro Orizzonti di Gloria quello di Humprey Cobb; dietro Lolita quello di Nabokov; e così via fino a Doppio Sogno di Arthur Schnitzler, d’ispirazione per l’ultimo capolavoro del Maestro: Eyes Wide Shut.
Ma nonostante questo attingere ad opere preesistenti, il genio di Kubrick risulterà sempre evidente fino, talvolta, a stravolgere totalmente i soggetti da cui aveva deciso di partire.
Celebre, in tal senso, fu il polverone alzato da Stephen King a seguito dell’uscita nelle sale di Shining, dal suo omonimo romanzo: lo scrittore, difatti, sosteneva che Kubrick avesse messo in scena dei personaggi freddi come burattini, che lui, da bravo burattinaio, si divertiva a calare in circostanze interessanti, ma giostrandole in maniera distaccata come se non avesse assolutamente a cuore le loro sorti.
E questo di contro ad un romanzo più che mai partecipe, in cui ciò che veniva innanzitutto analizzato era il difficile rapporto padre-figlio. Ma qui King si sbagliava di grosso!
Infatti, ben lungi dall’essere misantropo, l’intento di Kubrick era in realtà quello di innalzare la storia da un contesto individuale ad uno universale, rappresentando cioè inclinazioni umane comuni a tutti gli individui.
In Shining, in particolar modo, egli analizza le pulsioni distruttive degli uomini all’interno del contesto familiare, generate da qualsivoglia frustrazione.
Ma questa tendenza all’universalizzare le tematiche presentate è propria di tutti i suoi film.
E così, ad esempio, in Arancia Meccanica, ci spinge a riconoscere le perversioni che ognuno di noi cova nel suo intimo; in Lolita, a ragionare su come talvolta il bene ed il male si presentino in forme imprevedibili; e in Eyes Wide Shut a pensare a tutte quelle volte in cui abbiamo soffocato i nostri più reconditi desideri perché contrari alla morale comune.
2. Per la maniera in cui ha saputo plasmare il tempo filmico
Con Kubrick si chiude definitivamente l’era delle narrazioni lineari e programmate, a favore di una rappresentazione filmica più libera, in cui il tempo viene plasmato in relazione alle “esigenze di copione”.
E così, con una maestria inedita fino ad allora, il Maestro fa sì che il presente diventi più lento, il passato e il futuro siano messi in congiunzione e, talvolta, che gli eventi si ripetano uguali a sé stessi, come in una sorta di déjà vu.
Ma analizziamo in concreto questa manipolazione del tempo nei film.
In 2001: Odissea nello Spazio, la scena iniziale mostra, in un contesto arido e brullo, delle scimmie preistoriche: una di esse, mentre è intenta a giocare con ossa animali, riceve da un misterioso monolite nero una scintilla d’intelligenza che la porterà all’invenzione della clava.
Da qui, parte la più celebre ellissi della storia del cinema: un osso, lanciato in aria, prende le sembianze di una navicella spaziale, e da qui il contesto cambia: non siamo più all’inizio del processo evolutivo, bensì alla fine, esattamente nel 1999.
A questa estrema accelerazione del tempo iniziale, fa ora da contrappunto un eccessivo rallentamento: difatti, la scena della danza delle astronavi nello spazio, sulle note del valzer Sul bel Danubio blu, è in slow motion, per permettere allo spettatore di trarre massimo godimento dalla bellezza delle immagini.
A questo punto, avanziamo un po’ nella pellicola fino ad arrivare alla parte riguardante la Missione Giove: questa volta la data simbolica è il 2001, con evidente rimando al numero mitico delle Mille e una notte.
Qui, quello che viene chiamato Viaggio oltre l’infinito ha in realtà il sapore di un ritorno al punto di partenza, con la nuova apparizione del monolite innanzi al letto dell’astronauta morente in una stanza Luigi Filippo e con l’ennesima rigenerazione che ripeterà tal quale lo sviluppo della precedente.
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Ad anticipare questo andamento circolare della storia, in una sorta di eterno ritorno, sono sia le note del Così parlò Zarathustra di Richard Strauss, sia la filastrocca intonata da HALL9000 poco prima di arrestare il suo funzionamento: il celeberrimo Giro giro tondo.
Questa eterna ripetizione del tempo la ritroviamo anche in Shining: qui, Danny percorre sempre le stesse stanze, Jack scrive insistentemente la stessa frase, ed anche la difficoltà di uscire dal labirinto porta a calpestare strade già battute, generando una sensazione assolutamente claustrofobica.
Il tempo, racchiuso in questo labirinto senza uscita, perde un qualsiasi orientamento logico: lo scorrere degli eventi è anticipato da indicazioni temporali, ma man mano che si avanza nella storia tali indicazioni diventano sempre più vaghe.
Se prima era scritto “Un mese dopo”, ora compare la scritta “Martedì”, “Sabato”, “Lunedì”.
Ma di quale settimana? Di quale mese? Di quale anno?
La concatenazione narrativa si “slaccia”, diventa essa stessa labirinto, ed il culmine di questa perdita di riferimenti temporali si ha nell’ultima enigmatica scena che mostra Jack ritratto in un’improbabile fotografia d’una festa degli anni ’20, appesa in bella mostra su di una parete dell’Overlook Hotel.
Un ritorno al passato è poi in Arancia Meccanica laddove, dopo un’apparente evoluzione, Alex riprende i suoi comportamenti violenti, dai quali neppure l’ipnosi alla fine è riuscita a distoglierlo.
Ad ultimo, anche in Eyes Wide Shut, proprio quando i protagonisti sembrano essersi irrimediabilmente allontanati a seguito delle loro avventure extra-coniugali (presunte o reali), nel finale ci si ritrova al punto di partenza, con Bill e Alice che simulano gratitudine per essere usciti indenni dalla crisi e si avviano a rientrare nel baratro della routine familiare.
3. Per la cura maniacale dell’inquadratura
https://www.youtube.com/watch?v=Rzk_2PGz2yQ
Fra i meriti maggiori che si riconoscono a Kubrick, è in particolare l’aver restituito dignità all’immagine in sé: difatti, nei suoi capolavori, essa ha un valore anche se sganciata dal contesto filmico, e non ci si può esimere dal contemplarla in quanto “portatrice di bellezza”.
Si pensi alla danza delle astronavi in 2001: Odissea nello Spazio: la scena è in slow motion, proprio per enfatizzare ogni dettaglio dell’inquadratura, ovvero della porzione di realtà rappresentata. Il più piccolo movimento delle navicelle spaziali diventa un’esperienza di puro godimento estetico, data la maniacale precisione con la quale sono stati generati i fotogrammi.
Perfetta la prospettiva.
Perfetta l’illuminazione.
Perfetta la relazione fra la materia e il vuoto cosmico.
Non siamo dinanzi a un film, siamo dinanzi a un’opera d’arte!
Altre inquadrature interessanti sono in Arancia Meccanica: si pensi alla Londra futuristica messa in scena, agli interni ispirati alla Pop e alla Optical Art, ai costumi di Alex e dei Drughi, ma soprattutto al Korova Milk Bar, costruito attraverso la disposizione simmetrica di manichini di donne nude che fungono da tavolini.
Che dire poi di quelle di Barry Lyndon: per rendere le scene più realistiche possibile, vennero filmati gli interni illuminati dalla sola luce naturale, o al massimo ci si servì dell’ausilio di candele e lampade ad olio.
Ciò fu possibile grazie all’utilizzo di lenti Zeiss, ovvero uno speciale obiettivo di grande apertura progettato per la NASA. Il risultato è quasi un dipinto del Settecento!
Ad ultimo, in Shining, interessante è la ripresa iniziale “a volo d’uccello” che segue la macchina di Jack; come anche i vari piani sequenza che mostrano Danny che gioca sul pavimento, inscritto all’interno di uno degli esagoni che decorano la moquette; nonché il celebre piano fisso che mostra il fiume di sangue fuoriuscente dagli ascensori che invade i corridoi dell’Overlook Hotel.
4. Per il suo essere “Sui Generis”
Kubrick fu un regista poliedrico: realizzò horror, thriller, peplum, film di fantascienza… o almeno questo dice la critica.
Eh, già! Perché in realtà il suo modo di fare cinema non prevedeva il rispetto dei canoni di genere: lui realizzava film!
Punto!
Davvero in pochi le conoscono:
La parola “genere” appare dunque impropria quando si parla dei suoi capolavori.
Si pensi a Shining: non è riduttivo etichettarlo come horror o psico-thriller?
O a Lolita: è semplicemente un film drammatico?
O ancora ad Arancia Meccanica: sarebbe giusto chiamarlo grottesco?
5. Per i primi piani con gli sguardi puntati verso la cinepresa
Lo sguardo è al centro del modo di fare cinema di Kubrick: difatti, spesso il regista richiede ai suoi personaggi di guardare dritto in direzione della camera, così da azzerare la distanza con lo spettatore. Ne deriva, in quest’ultimo, un senso di straniamento.
Ad esempio, guardano verso di noi David Bowman, HAL9000 e lo “Star Child” in 2001: Odissea nello spazio. In particolare, quest’ultimo è come se volesse invitarci a prendere parte al processo evolutivo/involutivo.
Ma guarda verso di noi anche Alex in Arancia Meccanica: quello sguardo fisso verso la macchina da presa, mentre beve la sua bevanda al Korova Milk Bar, diventa un guanto di sfida nei nostri confronti: vogliamo davvero stare dalla parte del bene?
Siamo sicuri di aver scelto di stare da quella parte, o tale scelta è stata piuttosto frutto di condizionamenti sociali?
Non è forse più affascinante il male?
Vogliamo continuare a vivere una falsa vita come fossimo “arance meccaniche”???
Guardano infine verso di noi anche Danny e Jack in Shining, vedremo in seguito con quale intento.
6. Per gli innovativi movimenti di macchina
Nella resa tecnica dei suoi film, Kubrick non solo fu in grado di utilizzare tutti i movimenti di macchina fino allora conosciuti, dalla panoramica alla carrellata, ma ne inventò di nuovi: fece infatti sua l’invenzione della steadicam ad opera di Garret Brown, per utilizzarla in maniera del tutto innovativa, raggiungendo un risultato finale tuttora insuperato (a detta dello stesso Brown) per eleganza e capacità espressiva.
La steadicam non è altro che un’intelaiatura dotata di un sistema di ammortizzatori e indossata direttamente dall’operatore, su cui viene fissata la cinepresa. Essa consente di mantenere la stabilità dell’immagine indipendentemente dai movimenti dell’operatore, che quindi può correre, fermarsi all’improvviso, salire le scale, sdraiarsi a terra senza provocare il benché minimo sobbalzo della cinepresa.
Kubrick la utilizzò, anzitutto, per girare molte scene di Shining: si pensi a quelle in cui Danny percorre con il triciclo i corridoi dell’Overlook Hotel, o quelle in cui corre all’interno del labirinto rincorso da Jack.
Ma sono girate in steadicam anche le primissime scene del film, per intenderci quelle a volo d’uccello già precedentemente descritte: qui, l’intelaiatura fu issata a bordo di un elicottero, ed in questo Kubrick fu il precursore della moderna wescam.
7. Per il montaggio che “dà forma al pensiero”
Esemplificativa, in questo caso, è la scena di 2001: Odissea nello Spazio con la scimmia “Guarda la Luna” che, giocando con ossa animali, inventa la clava: l’alternanza delle scene che inquadrano la scimmia con quelle del tapiro che cade a terra colpito sono in grado di restituire le proiezioni che “Guarda la Luna” fa su di sé e sulla sua specie, in relazione alla scoperta di quell’oggetto simbolo di una futura supremazia.
Altro esempio lo ritroviamo in Shining, in cui il montaggio permette la rappresentazione delle allucinazioni di Danny.
8. Per il rivoluzionario utilizzo del sonoro
Da regista che non lascia nulla al caso, Kubrick dà un ruolo da protagonista anche alla musica (e al suono in genere) all’interno dei suoi film.
Quale cinefilo, infatti, ascoltando la Nona di Beethoven o Singin’ in the Rain non ha un rimando involontario al faccione di Alex, in Arancia Meccanica?! O alle note del valzer Sul Bel Danubio Blu non pensa forse alla danza delle astronavi in 2001: Odissea nello Spazio?!
Questo perché Kubrick ha saputo utilizzare la musica in maniera davvero funzionale fin dai suoi primi film.
Ad esempio, ne’ Il Dottor Stranamore, i brani di folklore e gli inni patriottici hanno lo scopo di generare un contrappunto satirico alle immagini del bombardiere.
Così come il Così parlò Zarathustra di Richard Strauss descrive perfettamente il processo di evoluzione dell’uomo-scimmia innescato dall’apparizione del monolite in 2001: Odissea nello Spazio.
Passando alle musiche dell’Arancia Meccanica, qui motivi ben noti come inni alla gioia e all’ottimismo (per l’appunto la Nona di Beethoven e Singin’ in the rain) vengono rivisitati in chiave violenta: la Nona è distorta al synthetizer, mentre Singin’ in the rain innesca un parallelismo fra la famosa danza sotto la pioggia di Gene Kelly ed il ballo “bestiale” messo in atto da Alex e dai Drughi durante il pestaggio di Mr. Alexander.
In Full Metal Jacket, la musica si compenetra totalmente con il “sonoro” appartenente alla storia: le ritmate cadenze di una canzone rock si intrecciano, infatti, con gli spari delle armi da fuoco, con le esplosioni e con il rumore prodotto dalle pale di un elicottero, fino a diventare un tutt’uno con essi.
Concludendo con Shining, qui diventa funzionale addirittura l’utilizzo del rumore. Pongo l’attenzione sulla scena che riprende Jack nel salone dell’Overlook Hotel, di fronte alla sua macchina da scrivere: qui fa da contrappunto al silenzio dell’inutilizzata macchina da scrivere un rumore fuori-campo che, man mano che la cinepresa arretra, ci accorgiamo provenire da una palla da baseball che Jack sbatte contro il muro, in un gesto ripetuto di frustrazione legato alla sua incapacità di essere scrittore.
9. Per l’attenzione data alla dimensione onirica
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Nei film di Kubrick è spesso molto difficile scindere la dimensione onirica da quella reale: questo perché, in un mondo che costringe a rappresentazioni mendaci di sé, i sogni rappresentano un maggior grado di verità e di rispondenza con gli effettivi desideri del soggetto preso in causa.
E così, in Eyes Wide Shut non appare forse più vera la scena di passione fra Alice ed il giovane ufficiale, rispetto a quella con il marito Bill, dove lei invece di guardare lui guarda verso lo specchio come per cercare una situazione “altra”? D’altronde, è il titolo stesso che c’induce ad una riflessione fra sogno e veglia, in quel suo ossimoro che significa “occhi chiusi spalancati” o “occhi apertamente chiusi”.
E la finzione, il sogno, è presente anche in Fear and Desire, laddove ad un certo punto scopriamo che il nemico contro cui la pattuglia combatte rappresenta in realtà il suo doppio.
Anche i personaggi di Shining vivono nell’incertezza di ciò che vedono: si tratta di effettive presenze soprannaturali o di allucinazioni prodotte dalla loro mente?
Tutto ciò, per l’appunto, in un ribaltamento di prospettive, in cui la realtà è in concreto una finzione a cui ci costringe il contesto sociale, ed il sogno è la nostra effettiva natura, il nostro istinto bestiale…
10. Per i concetti filosofici nascosti dietro la superficie della narrazione
Ognuno dei capolavori di Kubrick, mediante un linguaggio altamente simbolico, non fa altro che parlare dell’io più segreto dell’uomo, di quello che Freud chiamò “perverso polimorfo”, per intenderci, e che, in misura più o meno maggiore, è presente in tutti. Le sue rappresentazioni acquistano dunque una valenza “universale”.
Pensiamo a Shining, in cui il regista ribalta la classica immedesimazione dello spettatore con l’ “eroe” della storia, mettendolo invece “dalla parte più scomoda”. L’angoscia che si genera nell’osservazione del film non è infatti dovuta al fatto che lo spettatore s’immedesima con Danny o con Wendy, ma perché si rende conto di poter essere potenzialmente Jack.
E’ come se Kubrick ci dicesse: davvero non hai mai sentito simili pulsioni in te?
E se no, davvero escludi che un giorno possa accadere?
Per questo quando Danny ha le allucinazioni guarda in camera: è come se guardasse verso la nostra psiche.
E anche lo sguardo da pazzo di Jack Nicholson verso di noi ci dice lo stesso: non giudicarmi, perchè tu sei come me, anzi tu sei me. Il tutto reso mediante una regia magistrale, dove ad es. lo stesso utilizzo della steadicam diventa funzionale ad avviare un percorso introspettivo in chi guarda: ad esempio, quando la camera induce sul corridoio o sulla siepe che delimita il labirinto, prima di svoltare dietro a Danny, è proprio per rendere il nostro io presente nella scena, e dalla parte del “cattivo”.
Lo stesso “io” viene solleticato nell’Arancia Meccanica, quando l’occhio forzatamente spalancato di Alex vuole innescare una simile forzatura in noi nel riconoscere le nostre “perversioni”.
O in Eyes Wide Shut, quando il monologo della Kidman va a cercare dentro di noi tutte quelle volte in cui abbiamo soffocato i nostri più reconditi desideri in quanto contrari alla morale comune.
O ancora in Lolita, quando le modalità di narrazione ci portano più vicino che mai ad Humbert, nonostante questo sia un ingannatore, un pedofilo e, alla fine, anche un omicida, in un assurdo ribaltamento dicotomico fra bene e male.
Infine, in 2001: Odissea nello Spazio, viene evocata addirittura la teoria di Nietzsche sull’ “eterno ritorno“ e sul “superuomo”,tramite l’enigmatico sguardo in camera dello Star Child.
Questa si che è realtà sviscerata, anzi, qui si va ben oltre la realtà! Perchè, come disse il Maestro:
Il reale va bene,
l’interessante è meglio!