V’era nella sua comicità un gelido soffio
non di pathos, ma di malinconia…
(James Agee)
Trama
Protagonista della pellicola è il proiezionista di una sala cinematografica con aspirazioni da grande detective.
Accusato ingiustamente di furto, riesce, tramite una proiezione onirica, a diventare Sherlock Jr., il più scaltro investigatore di tutti i tempi, e a risolvere il caso in quello che è, di fatto, un film nel film!
Il suo ingresso in scena avviene con un semplice salto oltre la cornice dello schermo cinematografico, adattandosi di volta in volta al cambio di scena.
Dunque, con Sherlock Jr (titolo originale), Keaton avvia una delle prime e più interessanti riflessioni sul mezzo cinematografico, così realistico da sembrare vita; così verosimile da permettere anche a noi spettatori di compiere quel salto attraverso lo schermo, per diventare di volta in volta cowboy, avventurieri o supereroi..
E’ forse un grande inganno… ma anche un impareggiabile sogno!
Recensione
Sherlock Jr. rappresenta per il cinema quello che, qualche anno prima, Sei Personaggi in cerca d’Autore (1921) di Pirandello aveva rappresentato per la Letteratura.
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La raffinata indagine che Keaton avvia riguarda, infatti, sia il mestiere del cineasta, detentore del potere di “simulare” la vita, sia il ruolo dello spettatore che, nel buio della sala, finisce per avere la doppia identità di chi guarda e di chi vive le vicende del film insieme agli attori.
Davvero in pochi le conoscono:
Dunque, la manifestazione onirica del proiezionista, finisce per essere la nostra stessa che, abbandonato il piano della credibilità, attraverso l’ingresso nel mondo immaginifico della finzione, rendiamo possibile quello che nella realtà fisica non potrebbe essere.
Keaton ci accompagna in questo viaggio, attraverso acrobazie, esilaranti gag comiche e trucchi d’illusionismo degni di Houdini: apprendiamo che nulla è immutabile, ma tutto in un costante divenire che spesso ci prende alla sprovvista.
Ogni sequenza è reso tragicomica dal suo volto impassibile, che però più d’ogni altro riesce a divenire specchio delle nostre illusioni e delle nostre speranze, nonché dell’inadattabilità in un mondo sempre più frenetico e inafferrabile.
Come nella scena finale, in cui il proiezionista, risvegliatosi dal sonno, è intento a corteggiare la sua innamorata, ma in una maniera così impacciata da generare una tenera comprensione in noi che osservando simpatizziamo con le sue difficoltà.
Il cinema, ancora una volta, verrà in aiuto, ponendosi come modello d’ispirazione mediante una scena di Hearts & Pearls.
Curiosità
Il direttore della fotografia Elgin Lessley rese possibile la “co-presenzadi due Keaton” tramite la tecnica della doppia esposizione. Per i cambi-scena nello schermo cinematografico, per mantenere invariata la posizione dell’attore rispetto allo scambio di sfondo, ci si dovette inoltre avvalere di strumenti di misurazione topografica professionali.
Il tema-cardine del film, ovvero quello che gioca sulla “mescolanza” fra realtà e finzione, verrà ripreso ben 60 anni dopo da Woody Allen nel suo La Rosa Purpurea del Cairo (1985): come in quello, qui al sogno farà da contraltare l’imperfezione umana, che alla fine è la dimensione in cui dovremmo desiderare muoverci, in quanto una chimera tale deve restare.
Altro tributo è anche quello di Gary Ross con Pleasantville (1998): anche in questo caso, la finzione cinematografica diviene il tramite nel percorso di accettazione della realtà.